Vivere il presente senza dimenticare il passato. Sembra che Mariapaola Pesce abbia pensato a questo, quando, sull’onda del #blacklivesmatter (di cui quest’anno ricorre il decennale), decide di scrivere la sceneggiatura della graphic novel dedicata a Rosa Parks. La “donna timida, ostinata e capace” entrata nella storia per aver dato un contributo fondamentale alle lotte per i diritti civili, portate avanti negli anni ’50 dalle comunità nere degli Stati del Sud dove ancora imperversava la segregazione.
Immaginata come un racconto nel racconto, la storia inizia in una sera di dicembre del 2014, quando un anziano tassista accompagna un giovane afro americano di successo ad una festa. Colpito dalla sua spavalderia e arroganza – neppure conosce il significato di I CAN’T BREATH, la scritta che porta stampata sulla felpa – decide di dargli una lezione raccontandogli gli eventi di cui è stato testimone molti anni prima a Montgomery, in Alabama.
Era il 1955, quando una sera, Rosa Parks, al ritorno dal lavoro, prende l’autobus 2857 diretta a casa. Si siede in una fila centrale, ma quando dopo poche fermate sale un passeggero bianco, il conducente le chiede di alzarsi per lasciargli il posto. Lo ha sempre fatto, di alzarsi, ma questa volta no, non lo fa. La misura è colma.
Dal suo arresto, durato per fortuna poche ore – l’avvocato bianco Cliffon Durr pagherà la cauzione per lei – prenderà il via uno sciopero di protesta che la NAACP, l’associazione per i diritti dei neri di cui Rosa fa parte, deciderà di continuare ad oltranza. Fino a che la Corte Suprema degli Stati Uniti, nel 1956 e all’unanimità, dichiarerà incostituzionale la segregazione.
Anni dopo, Rosa Parks dichiarerà: “Dicono sempre che non ho ceduto il posto perché ero stanca, ma non è vero. Non ero stanca fisicamente, non più di quanto lo fossi di solito alla fine di una giornata di lavoro…No, l’unica cosa di cui ero stanca era subire”.
Consigliato da Letizia della Casa delle donne di Parma