Gentilissima Francesca Devicenzi,
come donne, cittadine e persone non riteniamo più accettabile una cronaca complice e violenta come quella apparsa il 21 e 23 giugno 2020 sul vostro quotidiano negli articoli da lei firmati, che ci hanno negativamente colpito per molti aspetti, a partire dal modo in cui lei ha utilizzato la dichiarazione dell’avvocato Anselmo: “ci vuole delicatezza, sono temi sensibili, ci vuole rispetto per tutti perché in questo caso ci sono due vittime” e vorremmo chiederle spiegazioni in merito.
Non è la prima volta che sulla stampa cittadina ci è capitato di leggere articoli nei quali tutta l’attenzione dei lettori e delle lettrici viene volutamente proiettata sulla vita della vittima, che viene scandagliata in ogni minimo dettaglio, riproponendo uno schema noto, per il quale i ruoli si invertono e ad essere sotto accusa è la vittima che denuncia violenza e non chi l’ha esercitata.
Ci colpisce come l’imprenditore Federico Pesci, che ha soldi e potere, sia riuscito a cambiare le carte in tavola, ribaltando punti di vista e possibili letture. Lo ha fatto trovando dall’altra parte giornalisti che, come lei, hanno accettato di mettere da parte professionalità, empatia, “delicatezza” e pure alcune basilari regole grammaticali, pur di dare voce “al mostro”, come lei stessa ha scritto.
Abbiamo ben compreso quale forma di “delicatezza” si sia voluta esprimere nei confronti del noto imprenditore parmigiano e dei suo avvocati – definiti senza mezza misura “i migliori della piazza”, quello che ci è sfuggito, però, è in quale parte del suo articolo emerga la delicatezza nei confronti della ragazza.
Forse nell’aver pubblicato tre immagine del suo corpo nudo, oppure nell’aver ripreso i messaggi inviati su richiesta di Pesci o ancora nell’aver utilizzato una perizia psichiatrica risalente a ben 10 anni fa, pubblicando fotografie di atti processuali che, in quanto tali, non sono e non devono essere pubblici?
Dov’è la sua delicatezza in questo? Nell’emettere giudizi precisi e netti nei confronti della ragazza e del suo passato e nel lasciarne ad intendere altri, in un gioco di virgolettati e dichiarazioni psichiatriche, legali e personali che si inseguono tra loro, senza lasciare al lettore o alla lettrice la possibilità di capire dove finisce uno e dove inizia l’altro?
Dov’è la delicatezza nel pubblicare fotografie di atti processuali o nel voler a tutti i costi costringere chi legge ad una sinapsi tanto semplice come sbagliata: se la vittima scrive al suo stupratore, se gli invia foto, allora non c’è stata violenza?
A noi sfugge la delicatezza in tutto ciò, mentre balza all’occhio, e con forza, tutta la violenza mediatica e lessicale del suo articolo, nel quale viene fatto tutto ciò che vi eravate riproposti di non fare, visto che sostenete di esservi interrogati a lungo sulla deontologia e la possibilità di pubblicare queste immagini. Poi vi siete, da soli, dati un via libera che deontologicamente, professionalmente e umanamente è inaccettabile.
Inaccettabile, perché, nel 2020 è inaccettabile vedere come una ragazza che denuncia una violenza sia ancora sottoposta ad una gogna mediatica di tali dimensioni.
Inaccettabile questo frugare tra il suo vissuto, questa morbosità nei particolari e questa ricerca di un consenso che lei ha già deciso esserci stato, dall’inizio alla fine.
Inaccettabile questo modo di procedere suo e della testata che la pubblica, che porta con sé pregiudizi e stereotipi vecchi come il mondo, alla ricerca di un’immoralità femminile che giustifichi e legittimi l’agire maschile, anche quando è violento e reiterato.