di Elisabetta Salvini
Parafrasando un famosissimo film, potremmo sintetizzare l’anno appena finito in: 2018 Allarme per le donne. Perché nel 2018 le donne sono state messe sotto attacco, in tutti i modi possibili: nei diritti fondamentali di autodeterminazione, nel diritto alla propria sessualità, nella dignità professionale e nella libera scelta se essere o non essere madri. Oltre all’altro attacco continuo e devastante, che arriva, quotidianamente, dalle nostre case. All’interno di quella famiglia “naturale” acclamata e celebrata, ma che versa in uno stato di crisi tanto terribile, quanto indicibile. E i numeri di questo attacco fanno spavento: in Italia muore una donna ogni 72 ore e nel mondo su 87.000 donne ammazzate intenzionalmente, il 58% è stata uccisa da un ex partner o da un membro della propria famiglia.
Eppure la politica è tutta impegnata a proteggere il nido familiare, le unioni eterosessuali, la genitorialità “tradizionale”: quella che vuole il padre uomo e la mamma donna, a tutti i costi. E delle violenze che si consumano all’interno di essa quasi nessun politico ne parla. Mentre ne parlano, e tanto, le donne, le femministe, quelle che, seppur sotto attacco hanno saputo, sanno e sapranno sempre rispondere e lottare. Le uniche che in questo terribile 2018 hanno dimostrato al mondo che unite si può lottare per difendere i propri diritti e si può anche cambiare un pezzetto di storia.
Ecco perché il 2018, per me, sono le strade e le piazze invase dalle donne e attraversate da una marea che tutto inonda, tutto cambia, tutto cancella. Una marea che dà speranza e che ha insegnato che si può e si deve dire NO alla disumanità di una politica che fa della prevaricazione e della violenza la sua massima espressione di forza e d’azione. Si può e si deve. Per difendere i diritti di chi socialmente ed economicamente è più debole e per garantire a tutti e tutte le stesse opportunità.
Il 2018 sono le tante figlie della marea che hanno dimostrato di essere più forti dell’attacco stesso. Figlie per le quali i politici cercano inutilmente di costruire argini che, regolarmente, vengono spazzati via. Perché la marea colorata è la risposta più bella e più vera a tutti coloro che ci vorrebbero ancora mute, obbedienti, consenzienti, madri e casalinghe.
E la marea è quella che ha invaso le strade di New York dove, il 20 gennaio, le donne del #Metoo si sono date appuntamento per la seconda Women’s March contro le politiche di Donald Trump. Una marcia imponente e incisiva e con un obiettivo chiaro: il “Power to the Polls” (potere alle urne), cioè la necessità di candidare e far eleggere il maggior numero possibile di donne alle elezioni di mid-term. Una sfida vincente, come hanno dimostrato le urne stesse, dove le donne hanno trionfato, portando con loro pezzi di una storia nuova e differente che regala al mondo un po’ di speranza per il prossimo anno. Magari lo avessimo saputo fare anche in Italia, chissà forse la storia di questo anno avrebbe potuto essere diversa…
La marea sono le tantissime donne brasiliane che, dopo l’assassinio di Marielle Franco, il 14 marzo, hanno tappezzato i palazzi con la sua foto e gettato inchiostro rosso lungo le scale per denunciare il suo assassinio e per continuare la lotta di una di loro. Di una Cria da Maré, una figlia della marea, una donna, nera, lesbica e femminista, uccisa per il suo essere donna, per il suo essere diversa, per il suo non aver voluto tacere, mai. Una figlia per la quale la marea continua ad urlare più forte di quando era viva.
Sono le donne polacche dello Strajk Kobiet che il 23 marzo hanno dato vita ad oltre 30 manifestazioni di cui la più imponente a Varsavia dove in più di 90.000 hanno invaso le vie e le piazze della Capitale.
Sono le piazze e le strade di una Spagna ferita e arrabbiata, quella che in aprile ha dato vita al Hermana, yo te creo, imponente manifestazione di donne per le donne che si sono mosse unite e compatte per urlare che quando una donna dice NO è NO e non esistono vie di mezzo. Questa è la marea. La voglia di occupare le strade, perché quelle strade le donne le devono poter percorrere, libere, vestite e truccate come vogliono e senza la paura di essere per questo vittime di stupri e molestie di qualsiasi tipo.
Sono le donne irlandesi che hanno invaso un paese cattolico e conservatore per festeggiare, dopo anni e anni di lotte, la legalizzazione dell’aborto. E sono quelle stesse donne che, a distanza di sei mesi, sono ritornate a riempire le strade, questa volta arrabbiate e indignate contro un’ignobile sentenza che ha stabilito che se una donna indossa il perizoma non vi può essere stupro. #ThisIsNotConsent, era l’hastag proposto dalle irlandesi, perché senza consenso è sempre violenza e questo le figlie della marea lo sanno benissimo e lo stanno urlando al mondo intero, certe che prima o poi il mondo lo capirà. Non importa quante maree serviranno …
Sono le donne svedesi che a maggio, dopo cinque anni di lotte, hanno festeggiato la nuova legge sulla violenza sessuale che prevede che qualsiasi rapporto sessuale senza un consenso verbale o fisico sia considerato uno stupro.
Sono le centinaia di migliaia di donne argentine di Ni una menos che hanno manifestato a Buenos Aires il 25 marzo e poi il 4 giugno per chiedere la legalizzazione dell’aborto e che ancora non hanno vinto, ma che sicuramente riusciranno nella loro lotta, perché ad ogni uscita sono sempre di più e sempre più forti.
Sono le ragazze iraniane che stanno protestando contro l’obbligo di indossare il velo islamico. Figlie coraggiose che salgono sui cubi delle centraline o stanno in piedi nelle piazze di Teheran e in silenzio si tolgono il velo in pubblico. O ancora le molte ragazze che in Arabia stanno indossando l’abayad al contrario condividendo le loro foto su Twitter con l’hasgtag #insideoutabaya. Le stesse che da pochi mesi, grazie alle loro lotte, hanno conquistato il diritto di guidare un veicolo.
Sono le donne sudafricane che in agosto hanno dato vita ad una monumentale marcia nelle principali città al grido di #TotalShutdown, per lottare contro la violenza di genere e denunciare l’elevatissimo numero di femminicidi presenti nel Paese.
Ma sono anche le migliaia di donne italiane della rete dei centri antiviolenza, dei collettivi femministi e di Non una di Meno che hanno scioperato e manifestato l’otto marzo. E ancora tutte quelle che sono scese per le strade il 24 novembre a urlare il loro NO contro la violenza e contro le politiche disumane e medievali portate avanti da questo attuale governo. Sono le donne che hanno manifestato contro i continui e ripetuti attacchi all’autodeterminazione, ma sono anche le tantissime che si sono opposte al decreto Pillon.
Tutte queste e tante altre sono le figlie della marea. Inarrestabili, incontenibili, incontrollabili, indomabili. E finché ci sarà la marea gli attacchi potranno continuare, ma faranno meno paura. Perché le Cria da Maré sanno di essere più forti di qualsiasi decreto legge, di qualsiasi politica sessista e maschilista, di qualsiasi attacco da qualsiasi parte esso provenga. Le Cria da Maré hanno la forza di travolgere e di graffiare.
Sono loro la bellezza del 2018 e la speranza del 2019.