San Felice Circeo, litorale pontino: nella notte tra il 29 e il 30 settembre del 1975, tre giovani della Roma bene, Angelo Izzo, Andrea Ghira e Gianni Guido, torturano per più di un giorno e una notte, fisicamente, psicologicamente e sessualmente, Rosaria Lopez, 19 anni, e Donatella Colasanti, 17, due ragazzine della periferia attirate dai tre convinte di trascorrere un pomeriggio al mare e andare a una festa. Rosaria muore, Donatella invece sopravvive fingendosi morta. Il processo inizia nell’estate del 1976. La famiglia Lopez rinuncia a costituirsi parte civile dopo aver accettato un risarcimento di cento milioni di lire dalla famiglia Guido. Donatella Colasanti sceglie di andare a processo rappresentata dall’avvocata Tina Lagostena Bassi e sostenuta da centinaia di femministe. Questo il fatto di cronaca. Al regista della serie tv va il merito di aver incentrato la narrazione sul successivo iter processuale, evitando la trappola della pornografia del dolore in cui spesso si rischia di cadere. Perché il massacro del Circeo è stato più di un fatto di cronaca. È stato il caso giudiziario che ha cambiato il modo di percepire la violenza degli uomini sulle donne in un paese che, nel 1975, continuava a considerare il reato di stupro come un’offesa alla moralità pubblica anziché come una violenza ai danni del singolo. Ed è stato così fino al 1996. La magistrale interpretazione di tutto il cast, però, e le immagini di repertorio finali di Donatella e dei suoi occhi che cercano giustizia comunicano tutta la sofferenza vissuta insieme a lei per chi, come chi scrive, c’era all’epoca dei fatti. A chi non era ancora nato/a resta l’eredità di una donna abusata ma coraggiosa e combattiva da non dimenticare.
Consigliato da Giovanna della Casa delle Donne di Parma
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