di Elisabetta Salvini
“Città a favore della vita”. Così si definiscono quei centri urbani, ovviamente amministrati dal centro destra, che hanno destinato nei loro cimiteri aree adibite alla sepoltura dei feti.
E sono tante, ahimè: come ad esempio Imperia, Torino, Alessandria, Genova, Cremona, Caserta, Trento, Treviso, Venezia, Verona, Busto Arsizio, Biella, Marsala.
Se ne è parlato molto in questi giorni, e spero che, dopo i racconti terribili di Marta Loi, Francesca Tolino e delle altre donne che hanno scritto, ora si possa anche dar vita ad una battaglia concreta, per porre fine a questo orrore. Come già sta facendo l’Associazione Differenza Donna della Casa Internazionale delle Donne di Roma.
Perché l’indignazione, la rabbia e l’incredulità non bastano più.
Perché tutti i giorni siamo di fronte ad una croce di ferro sotto alla quale si cercano di sotterrare i nostri diritti fondamentali: il diritto di aborto, di autodeterminazione, di scelta e persino di cittadinanza. E su quelle croci c’è il nostro nome. Nessuno e nessuna escluso.
Il cimitero dei feti non è che l’ennesima strategia adottata da un cattolicesimo oltranzista e bigotto che punta a stillare nelle donne il senso di colpa, attraverso la vergogna e lo stigma sociale. Per poi arrivare a una condanna netta, dura, ma camuffata sotto le false sembianze della sepoltura per beneficenza, della protezione, dell’aiuto e della misericordiosa e compassionevole carità.
Ma quel cimitero è anche, da sempre, una campagna sposata e portata avanti dalla destra più radicale e conservatrice, dagli aspiranti sovranisti, dai nostalgici fascisti e dai leghisti che, non sapendo più cosa sono di preciso, si appellano un po’ agli uni e un po’ agli altri, brandendo in una mano il santo rosario e sventolando con l’altra le immagini della Vergine Maria.
“Seppellito per beneficienza”. Così si è sentita dire Marta Loi. Una beneficienza non richiesta, non voluta e alla quale non è stato dato alcun consenso. Una beneficienza che diventa, pertanto, maleficienza, perché volutamente fa male a chi la riceve
E ad accomunare i Pro Life a tutta la poltiglia integralista, nazionalista, bigotta e conservatrice in questa crociata antiabortista c’è un’idea atavica e radicata della donna/utero. Ventre da ingravidare, contenitore da riempire. Madre o vergine. Sposa o puttana. Nessuna scelta, nessun altro destino femminile possibile.
La vita della donna conta meno di quella di un feto. Così come non hanno alcun valore la sua dignità, la sua volontà e la sua libertà.
L’unico ruolo che le si riconosce è quello di madre della vita e della nazione. È questo l’anello di congiunzione tra le posizioni fondamentaliste e quelle sovraniste. Il controllo sui nostri corpi resta il terreno di lotta comune per tutti i populismi, siano essi religiosi o politici. E da questa prendono vita le tante altre battaglie, tutte a senso unico. Tutte indirizzate a riportare indietro la linea del tempo e dei diritti.
Nella Spoon River dei feti non troviamo nessuna poesia, nessuna epigrafe, ma solo nomi e cognomi di potenziali madri, assassine, peccatrici e colpevoli per non aver voluto portare a termine quelle vite.
In quella Spoon River le storie di Ella, Kate, Lizzie ed Edith non conoscono alcuna pietas, ma al contrario viene messa in croce l’empietà delle loro scelte.
Ai nomi di donna si contrappone l’uso di “Celeste” – scelto perché di genere promiscuo – ad indicare quei prodotti abortivi che “amorevolmente” sono stati risposti sotto la croce. E la contrapposizione è netta. La donna demoniaca da una parte, la creatura angelica e celeste dall’altra.
Nessuno stupore, dunque, se da quei nomi dovesse prendere vita, prima o poi, una possibile lista di proscrizione. Il clima è evidentemente questo nelle città a “favore della vita”.
E indigna pensare che in quelle città ci siano spazi da dedicare ai feti ma non alle persone. Indigna vedere come in esse – e non solo – i luoghi di aggregazione e di autorganizzazione delle donne vengano continuamente chiusi e sfrattati, mentre quelli di offesa e stigmatizzazione delle scelte femminili prosperino e si moltiplichino. A nostra insaputa. Cimiteri, appunto. Di diritti e di libertà delle donne.