di Elisabetta Salvini
Solo la libertà delle donne libera tutti. Non libera solo le urla, i cori, i canti e i “No” delle 150.000 persone che ieri hanno colorato e invaso Verona con la loro presenza. Libera anche e soprattutto le nostre paure nei confronti di una politica che ci vorrebbe incatenare a modelli e ruoli di una “tradizione naturale” immutabile. Che non c’è, non esiste e non potrà esistere mai. Una tradizione che noi abbiamo spazzato via semplicemente con il nostro esserci, con il nostro incessante camminare cantando e ribadendo con determinazione che nessuno può cancellare i nostri diritti conquistati con secoli di lotte. Nessuno può toccare i nostri desideri. Nessuno può ridurre alla natura ciò che ha costruito la cultura.
Solo la libertà delle donne libera una folla che, per più di quattro chilometri, invade le strade e le piazze di Verona, urlando contro una società ancora patriarcale e abbattendo con il sorriso e l’ironia ogni roccaforte dell’odio sessista, omofobo, misogino e fascista. Libera i nostri corpi da ogni pretesa politica e religiosa di controllo e da ogni forma di sfruttamento che nessuna di noi riconosce e accetta. Libera la creatività, la diversità e la bellezza di ognuna di noi che ieri abbiamo manifestato la nostra netta opposizione a uomini e donne chiusi dentro al Palazzo, tra feti di gomma e clima da inquisizione, a ragionare su politiche inaccettabili. Politiche che fanno della negazione di libertà, laicità e diritti la loro sola ragione di essere.
Libera la nostra paura di essere sole, perché ieri eravamo tutte insieme, unite da una sorellanza che non conosce differenze d’età, di sesso, di religione e di etnia. Una sorellanza vera, palpabile. Un essere unità che è, probabilmente, il sentimento e la consapevolezza più forte che ci siamo portate a casa. Una vittoria sperata ma inaspettata, confermata stamattina dalle parole di una ragazza di quattordici anni che ieri si è riconosciuta pienamente in ognuna di noi. Libera chi libera non è, per qualsiasi motivo: materiale, politico, economico, sessuale, etnico. Libera Silvia Romano che ieri è stata nei nostri pensieri e che rivogliamo tra noi, a casa. Libera il maschile che si rispecchia nel femminile. Perché ieri a Verona è successa una cosa che storicamente non ha molti precedenti. Ieri era il femminile a contenere il maschile e non il viceversa. Nessuna concessione, nessuna quota rosa, nessun paternalismo, ma solo la forza femminile del saper prendere parola e conquistare spazi pubblici e politici.
Verona non verrà ricordata per il XII Congresso mondiale delle famiglie, ma per l’invasione pacifica, colorata, determinata e rabbiosa del nuovo transfemminismo. Da città oscurantista e reazionaria a città dei diritti, della libertà, dell’amore, della laicità, dell’accoglienza, del desiderio e della vita. Una risposta chiarissima a chi crede di poter ancora fare politica sfruttando i sentimenti dell’odio e dell’intolleranza verso i diversi e gli stranieri. A chi si sente forte condannando l’omosessualità e negando le libertà femminili, ma che da ieri sa che così forte non è. Da ieri questo modo di far politica – che consiste nel sopprimere diritti di tutti per difendere i privilegi di pochi – dovrà fare i conti con la marea femminista, con il rischio di venirne travolto.
Mentre camminavamo guardavamo in alto e poche, pochissime erano le finestre aperte. Ma una è bastata per tutte le altre. Un balcone dal quale era affacciata una signora anziana con un cartello bianco, piccolo con su scritto: “Non cammino ma vi sono vicino!”. Straordinaria quella signora e rivelatore il suo cartello. Perché Verona è stato anche questo: prestare le gambe e la voce a tutte le altre. A tutte quelle che, per i più inimmaginabili e diversi motivi, ieri non sono potute partire. Ognuna conosce almeno dieci persone che avrebbero voluto essere sul pullman con noi e che non ce l’hanno fatta. Ecco, aggiungiamole al conteggio della giornata per comprendere quanto forte, potente e dirompente è il nostro movimento.
Dunque basta pensare a Verona come al medioevo, basta parlare di loro. Parliamo di noi e di ciò che abbiamo saputo fare e che continueremo a fare. Affermiamo con forza che la politica deve ripartire da qui. Da una nuova parola d’ordine nella quale tutte e tutti dovremo imparare a riconoscerci, se vogliamo che vi sia davvero un cambiamento. E la parola non può che essere transfemminismo. “Solo il femminismo fermerà il fascismo”, sono queste le parole che Marta Dillon – fondatrice del movimento Ni Una Menos – ha pronunciato ieri a Verona. E sono queste anche le nostre parole. Certe che solo la libertà delle donne libera tutti. Ma certe anche che quando una donna avanza non vi è uomo che retroceda, mentre quando si negano diritti e libertà alle donne a retrocedere siano tutti quanti.