«Noi siamo il cibo che mangiamo e la connessione fra produzione e consumo dei cibi può essere il luogo in cui reclamare la nostra libertà». (Vandana Shiva, attivista e ambientalista indiana).

Quello di sabato è stato un menù pensato e ripensato, il suo obiettivo non era solo quello di riempire lo stomaco. Abbiamo scelto piatti di diverse zone del mondo, da tutti quei luoghi dove le donne stanno lottando. Nel piatto vi era un mondo di culture e di persone.

Ecco com’era il menù:

ZEEYTINYAGLI YAPRAK SARMA – involtini di foglie di vite con riso basmati – Kurdistan

CIG KOFTE – polpetta di bulgur – Kurdistan

KARANTITA – sformato di ceci – con HARISSA – salsa di peperoncino e pomodoro – e PANE ARABO – Algeria

SOPAIPILLAS – torta fritta con zucca – con SALSA PEBRE – pomodoro, cipollotto, coriandolo – Cile

FEKKAS – biscotti con mandorle, sesamo e anice – con TE’ ALLA MENTA – Marocco

MALWI – frittelle – con MIELE – Marocco

E allora, dal momento che il cibo è un segno di appartenenza a una comunità (l’essere e sentirsi cittadino di una “polis”), vi invitiamo a riflettere sulla scelta di questi piatti:

in primo luogo, è stata per noi un’unione di sapori, una fusione che corrisponde alla nostra visione del mondo, un mondo senza confini, un mondo di ponti che ci uniscono e ci permettono di mescolarci. E anche la nostra cucina si apre per essere contaminata dai profumi e dai sapori del mondo. È la stessa idea che abbiamo di casa, dove ci teniamo stretti gli ingredienti della tradizione per poi impastarli con il nuovo e creare piatti che sono, ogni volta, imprevisto e appunto casa.

Il menù pensato è stato un’unione di testa e cuore.

Cuore perché abbiamo dedicato tempo e cura alla preparazione come è per noi – o dovrebbe essere – la cura verso le persone, l’attenzione profonda all’accoglienza e allo stare bene insieme.

Noi sappiamo che il ruolo di cura, a partire dalla preparazione e somministrazione del cibo, nella società patriarcale è da sempre e tradizionalmente assegnato alle donne. Noi vogliamo riappropriarcene, anche per non disperdere tutto quel patrimonio di saperi e sapori che ci tramandano le donne del passato, ma rovesciandone il senso e caricandolo di un significato fortemente politico

In primo luogo, per l’importanza della relazione, sia nella preparazione collettiva dei piatti che nel loro consumo (vi ricordo che una parola a noi molto cara – compagno – trae origine proprio dalla condivisione del cibo).

E allora non solo mangiare insieme, ma anche cucinare insieme genera consapevolezze e crea relazioni, perché noi non cuciniamo mai per noi stesse, ma per il mondo intero e perché sappiamo che il cibo è sempre un percorso facile e abbreviato per favorire scambi e comunicazione.

E poi cucinare insieme ci rende consapevoli del fatto che impastare, mescolare, cuocere sono il fondamento primo di un agire politico, una pietra su cui costruire convivenza e civiltà.

Concludiamo con una frase di Virginia Woolf: “Non si può pensare bene, amare bene, dormire bene, se non si è cenato bene”.