Dove erano le donne durante la pandemia di Covid-19? Dove erano le scienziate, le virologhe, le mediche, le sociologhe, le esperte sui media nazionali? Lorena Carrara, prendendo in esame Rainews 24 ( in quanto autorevole e riconosciuta fonte) con precisione, amara ironia, dati alla mano, ci guida a scoprirlo. Le donne NON c’erano se non in quei ruoli “naturali” e indotti ai quali la cultura patriarcale ancora vorrebbe segregarle: madri, mogli, cuoche, angeli del focolare.

di Lorena Carrara (PhD Educazione e Scienze Umane, docente, saggista)
Elaborazione dei grafici di Irene Morini

Per Osservatorio di Genere – Casa delle Donne Parma

Con il gruppo dell’Osservatorio di Genere nato nei primi mesi del 2020 come sezione della Casa delle Donne di Parma – abbiamo deciso di iniziare la nostra attività indagando il lockdown in ottica femminista, transfemminista e intersezionale. In particolare, abbiamo scelto di concentrarci sulla percezione delle competenze femminili nei mesi di emergenza. 

Chiusi in casa, in attesa spasmodica del Bollettino della Protezione Civile, ogni sera puntuale alle 18:00, italiani ed italiane di ogni età e livello socioculturale hanno scoperto una vitale esigenza di informazioni di cui si sono fatti mediatori quotidiani, servizi giornalistici e notiziari, fruiti prevalentemente on line attraverso gli schermi degli smartphone, a fianco dei mezzi tradizionali. Nella storia recente del nostro Paese non è mai stata vissuta una situazione paragonabile a quella dell’Emergenza Covid-19. Medic*, operat* sanitar*, ricercat* e scienziat*, da bistrattat* professionist* quali erano fino a pochi mesi fa, nel volgere di un mese sono assurti al ruolo di salvatori della nazione. Quello della salute, senza dubbio, è diventato un tema (o forse il tema) onnipervasivo nel mare magnum dell’informazione digitale. 

Ma qual è stata la rappresentazione delle abilità e competenze femminili in questo periodo? Quale immagine è stata restituita agli e alle italian* dell’emergenza sanitaria e delle professioniste al lavoro per il bene di tutti? Che percezione hanno ricavato telespettat* e/o utenti del web del ruolo delle donne in un irripetibile momento storico, in particolare riguardo al cruciale tema della salute pubblica?

Premetto che la mia è, e rimane, un’indagine ingenua, senza pretese di scientificità o validità statistica, ma vorrei comunque chiarire quali ne sono stati i parametri e i limiti d’azione. Ho scelto innanzitutto di fare riferimento alla pagina di RAI NEWS24 – che considero una fonte autorevole oltre che un baluardo del servizio pubblico – e di concentrarmi sulle prime sei settimane di chiusura totale, dal 9 marzo 2020 al 19 aprile, leggendo e visualizzando tutto ciò che è stato pubblicato (articoli, servizi e rotocalchi) sotto la sezione Salute (senza dubbio, l’argomento di maggiore interesse per il periodo di riferimento). Per correttezza, vorrei precisare che dal 24 marzo al 19 aprile sono presenti dei “buchi” informativi di cui non so dare spiegazione, ma che, in ogni caso, ritengo non inficino la rappresentatività del campione.

All’inizio di marzo, gli allarmi erano già stati lanciati. Uno studio Demopolis rivela che già un 20% di italian* si dichiarava preoccupat* in data 30 gennaio, ma con una vertiginosa impennata la percentuale sale fino al 78% il 9 marzo. Io, in particolare, in qualità di docente di scuola primaria in Emilia-Romagna, ero chiusa in casa con i miei figli dal 24 febbraio. Dal 10 marzo la chiusura investe tutta l’Italia. 

Passando in rassegna i contenuti relativi al periodo sotto esame, visualizzo una serie di immagini che rimandano a servizi Tg, a brevi articoli o ancora alla nota trasmissione Basta la salute condotta da Gerardo D’Amico. Su un centinaio di fotogrammi civetta che si dispiegano davanti ai miei occhi scorrendo la pagina, compaiono foto che ritraggono donne (o più spesso parti di donne) in pochissimi casi: uno o due riguardano la sindaca Raggi (significativamente denominata il Sindaco), perché rimandano a speciali espressamente dedicati a Roma; in altri compare, defilata, la traduttrice nel linguaggio dei segni che ormai tutti abbiamo imparato a riconoscere e che affianca Borrelli durante il bollettino quotidiano della protezione civile; in pochi altri casi sono immortalate figure femminili anonime, quasi irriconoscibili per le mascherine (operatrici sanitarie o della protezione civile); interessante, infine, è l’immagine di due polpacci femminili ben piantati su una bilancia, che rimanda a uno speciale dedicato – guarda caso – alla corretta alimentazione durante il lockdown. 

Nei drammatici giorni di inizio marzo 2020, i volti di coloro che hanno il compito di guidare, rassicurare, organizzare, tutelare e informare gli italiani e le italiane nella tenebra di una paura fino a quel momento imprevedibile e ignota sono tutti maschili: Conte, Borrelli, Gallera, Galli, Malagò, Speranza, Di Maio… Nomi propri di uomini emergono in modo e misura inequivocabile da una massa indistinta – ma sempre maschile-plurale – di governatori, scienziati, matematici, primari, biologi, professori e professionisti, di volta in volta chiamati in causa. 

Dalle tabelle e dall’istogramma a colonne raggruppate che trovate qui di seguito, emerge con una chiarezza che non necessita di commenti la frequenza delle citazioni per nome e cognome di uomini, divise per ambiti di competenza o di azione, e soprattutto lo schiacciante raffronto rispetto a quelle delle donne.

Si è rivelato altrettanto interessante provare ad esprimere il “peso” dei nomi nei diversi ambiti, che è stato calcolato mettendo in rapporto il numero di citazioni del singolo rispetto al numero totale.

Se ne evince che più il singolo nome è importante e citato, più il valore del rapporto aumenta, e che nell’ambito qui denominato Emergenza – comprendente i responsabili della Protezione Civile, i Commissari straordinari e i loro omologhi, dunque coloro da cui dipendeva in quei mesi la nostra sicurezza – i nomi che tornano sono sempre gli stessi (cinque su ventisei, in rapporto di 5,2). Al secondo posto si piazza la politica, con un rapporto tra numero di nomi propri e numero di citazioni totali di 2,12. In modo assai significativo, l’emergenza pare gestita da pochi, autorevoli uomini: volti e nomi noti, quasi subito divenuti il punto di riferimento per i cittadin*. Nell’ambito politico-amministrativo, l’alto numero di nomi maschili è probabilmente l’espressione della reale distribuzione del potere, della scelta “sessuata” dei leader e dei portavoce, e della visibilità dei singoli esponenti. 

Diverso ancora, a mio avviso, è il caso dell’ambito sanitario-medico-scientifico, in cui la numerosità dei singoli nomi di scienziati, medici, primari, professori, biologi, ecc. che vengono citati o interpellati come voce autorevole e professionale, restituisce senza ombra di dubbio l’immagine di un Paese in cui l’accesso delle donne a specifici settori professionali e di ricerca (la cosiddetta area Stem) è ancora, drammaticamente, limitato. Ne consegue che difficilmente le donne avranno le stesse probabilità di accedere a cariche rappresentative o dirigenziali, se non altro in termini numerici. 

Non esistono valori paragonabili nella omologa tabella dedicata alle donne. Tra loro, l’ambito più rilevante è senza dubbio quello politico amministrativo, in cui se ne trovano alcune – poche – di relativo rilievo mediatico (Von Der Leyen, Meloni); per la maggior parte, però, i nomi di donna sono infrequenti, o addirittura inesistenti per quanto concerne l’ambito emergenziale e/o della protezione civile. L’impressione di chi legge, ascolta, si informa è che le donne, durante il lockdown, siano letteralmente sparite. Chiuse in casa, svanite. Non se ne ha notizia, non si occupano di nulla, non sanno, non lavorano, non si attivano per ricercare soluzioni, non difendono né proteggono.

Forse non esistono, o almeno così pare. Vengono nominate solo quando si fa riferimento alla ferocia del virus, che sembra colpire più severamente gli uomini. Probabilmente se ne stanno rintanate in casa, in attesa che qualcuno trovi la soluzione, riporti l’ordine, determini la salvezza e sconfigga, una volta per tutte, il terribile nemico invisibile. 

9 marzo. Quasi ottomila contagiati. I dati vengono forniti puntualmente, come ogni sera, agli e alle italian* col fiato sospeso davanti al bollettino della Protezione Civile dal Commissario Borrelli che, supportato dal Ministro Boccia e dall’Assessore Gallera, in conferenza stampa, dispongono la chiusura di tutti gli impianti sciistici.

10 marzo. L’Italia, sostiene il Premier Conte, diverrà una “unica zona protetta”. Da qui in avanti, la nostra salvezza sarà nelle mani di politici, commissari, governatori, sindaci e, soprattutto, medici e scienziati, dalle cui valutazioni dipende l’efficacia delle misure di sicurezza. I medici non curano, ma combattono, le metafore sono di ordine bellico e militaresco, si dichiara guerra alla movida, è disposto il divieto di assembramento. Ci rassicurano, ci difendono, ci guidano, combattono per noi. Si sa che la metafora funziona grazie alla sovrapposizione di campi semantici che hanno aree in comune e che quella della lotta associata alla malattia è già stata ampiamente usata (e perciò indagata da Susan Sontag in tutte le sue implicazioni, anche negative). La stessa figura retorica è stata impiegata con uniformità e coerenza durante la pandemia, ogni volta che si è fatto riferimento ad armi, lotta, battaglia, fronte, task force. Nessun cenno invece alle scuole, che sono state le prime a chiudere, né alla ministra Azzolina. Può darsi che la salute mentale e il benessere psicofisico di bambin* e adolescenti non siano di rilievo pubblico. Paradossalmente, nei primi giorni di lockdown, l’unico cedimento sentimentale è stato riservato ai tifosi, per la sofferta sospensione del campionato di calcio. Da quei giorni in poi, si moltiplicano nei servizi e negli articoli i nomi dei primari e dei direttori sanitari, che impariamo a conoscere perché quotidianamente, ormai, entrano nelle nostre case all’ora di pranzo e di cena. La speranza di tutt* dipende da loro, dalla loro competenza, dalle loro indicazioni, dalle loro ricerche, dalle loro soluzioni.

11 marzo. L’ordine “State a casa” – incarnato dal volto tirato e dalla voce perentoria di Zaia – martella ormai da giorni gli e le italian*. Il servizio riporta sette minuti in cui i governatori delle regioni più colpite lanciano, uniti, l’appello ai e alle cittadin*. Dal canto suo Borrelli ci parla con un tono competente, puntuale, affidabile, mai insicuro, mai incerto. La tenuta delle misure adottate e la necessità di non abbassare la guardia, in questo impari duello, dipendono dal suo messaggio serale, che diventa in breve l’appuntamento più seguito in televisione. Essendomi dedicata all’analisi della sezione Salute, come prevedibile la stragrande maggioranza dei titoli esordisce con “Coronavirus:”. Si discostano da questo schema solo poche eccezioni: il 13 marzo appare un video titolato “Andrà tutto bene: i bambini in campo”. Potremmo pensare che stavolta si dia voce, finalmente, ai bambini, che si sono visti sottrarre da un giorno all’altro scuola, socialità, attività sportive, giochi all’aria aperta, qualcuno – forse troppi – la regolarità dei pasti in mensa. Invece assistiamo a un minuto di video di in cui alcun* alunn* di un asilo romano mostrano i disegni degli arcobaleni e un sorriso muto. Si dispiegano davanti agli occhi come angeli portatori di una forzata speranza, come un’epifania. Del resto, si sa, l’infanzia è l’età “priva di parola”. 

Il 16 marzo appare una foto di Virginia Raggi. Sono riportate le parole del Sindaco (sic) che in un virgolettato dal tono amorevole e indulgente si rivolge alla cittadinanza: “Preferirei fare molte meno multe e che i miei vigili la sera mi dicessero che non hanno multato nessuno…”. Sembra quasi di vedere la scena. La premurosa Virginia che la sera attende, al sicuro, il ritorno dei suoi per avere notizie, puntualmente delusa da quei discoli dei e delle cittadin* roman*, come una mamma a cui è stato nascosto un brutto voto. Non avrebbe voluto essere severa, ma di fronte all’emergenza, ha dovuto dare avvio ai blocchi stradali. 

Il 17 marzo, la foto civetta ritrae due sodi polpacci femminili sulla bilancia pesapersone. L’articolo “Meno zuccheri, no ai cibi grassi: i consigli per mantenersi in forma durante la quarantena”, in effetti, a chi potrebbe rivolgersi se non alle donne, depositarie delle tradizioni culinarie e angeli del focolare su cui grava il peso (letteralmente) della patria alimentazione e della salute a tavola? Chi altro dovrebbe pensare alla linea se non le devote femmine italiche? Con coerenza, in questo caso si può interpellare una donna di scienza (sebbene sia una branca di grado inferiore nella implicita gerarchia dei saperi), la nutrizionista biologa Tognozzi, che ha il compito di tratteggiare il menù ideale per la quarantena.

Ma un’altra donna compare il 17 marzo: è Donatella Bianchi, WWF Italia, che grida all’allarme per gli effetti disastrosi della perdita di un equilibrato legame con la natura. Attenzione, però. Il suo nome è citato solo nell’occhiello. Per tutta la lunghezza dell’articolo è invece il WWF – personificato e drammatizzato al maschile – a parlare, lei ricomparirà solo nell’ultimo paragrafo, dopo la citazione del giornalista scientifico David Quammen che nel 2012 ha pubblicato un testo sullo spillover, salto interspecifico di cui purtroppo tutti noi, oggi, cominciamo ad avere drammatica contezza.

Fiduciosa, affronto la visione della puntata del 18 marzo di Basta la salute, rotocalco condotto da Gerardo d’Amico, volto e voce nota di questa autorevole trasmissione. Essendo dedicata a casa, bambini e animali sono certa che pullulerà di esperte in materia, almeno questa volta, almeno su temi specificamente considerati femminili. E invece no. Non in questo momento storico, non oggi, ragazze. In ventiquattro minuti e trentasette secondi di speciale non si dà voce a nemmeno una donna. Parlano, nell’ordine, il direttore sanitario CIRM, il Presidente Società Italiana Pediatria e addirittura un animatore di Roma (nonostante il mondo dell’educazione e della formazione siano professioni ormai altamente femminilizzate), che suggerisce a mamme e papà alcune simpatiche attività da fare a casa con i bambini nei giorni di reclusione forzata; ad esempio un bel cartellone colorato, riportante gli orari della giornata e la scansione della routine domestica… Risparmio i punti esclamativi, perché potrebbero essere percepiti come una nota di sarcasmo. Cioè, mentre iniziano a uscire studi, portati avanti per lo più da Associazioni Femministe, che mostrano in che misura il peso del lockdown sia (ri)caduto ancora una volta sulle spalle femminili, un uomo viene intervistato per illustrare alle famiglie come gestire i bambini, dimenticando che, in alcune zone d’Italia, del materiale di cancelleria necessario per fare questo ed altri piacevoli lavoretti era stata vietata la vendita (lo dico con cognizione di causa, perché io stessa l’ho cercato). E qui mi taccio. È poi la volta del personal trainer, che ci mostra alcuni esercizi da fare sul pavimento del salotto o in cucina, usando a mo’ di peso due bottiglie da 1,5 l. Nuovamente, mi taccio. Per quanto riguarda gli animali domestici, il conduttore interloquisce con il Presidente LAV. Sipario, fine delle trasmissioni. Sarei falsa, però, se sostenessi che le donne non sono comparse in questa trasmissione. Mentre il prof. Alberto Villani ci parlava di genitori e bambini, infatti, scorrevano sullo sfondo delicate immagini di allattamento o tenere immagini di mamme che imboccano il proprio piccolo o ancora di mamme alle prese con carrozzine e passeggini. Di mamme, insomma.

Finalmente, il 21 marzo lo speciale Covid 19: La via d’uscita sembra voler aprire uno spiraglio di luce nelle tenebre. Sono chiamati a riferire, all’interno di una trasmissione di ventisette minuti circa, il Direttore Malattie Infettive Galli, il Direttore Istituto Igiene Lopalco, il biologo della Temple University Bucci, Walter Ricciardi per l’OMS, il Presidente FNOMCEO Anelli. Poi arriva il ringraziamento sentito ai radiologi, ai fisioterapisti, ai farmacisti e, infine, doverosamente, anche agli infermieri. All’interno di questo maschile dominante, trova uno spazio di circa due minuti la Presidente dell’Ordine Infermieri Mangiacavalli. Tutt* sanno, oggi, che durante l’emergenza Covid-19 le infermiere e gli infermieri si sono spesi ben al di là del mero dovere professionale. Forse non tutti sanno però che la professione infermieristica è svolta per i tre quarti da donne

Per ascoltare altre voci femminili, si dovrà arrivare al 24 marzo, giorno in cui vengono intervistate la psicoterapeuta Zazza su emozioni, ansia e disturbi degli adolescenti durante il lockdown, e Giuliana Guadagnini, psicopatologa docente alla IUSVE. Nonostante si sia data voce, finalmente, a due specialiste, nel titolo campeggia, ça va sans dire, un maschile plurale: “Coronavirus. Psicologi: Dipendenza tecnologica e disturbi alimentari”. Nella puntata del 30 marzo “Come superare le difficoltà della quarantena”, accanto al Direttore di Radioterapia del Gemelli, a un ortottista, al Direttore del Centro Parkinson e al dott. Selleri del Centro Veterinario Roma, possiamo annoverare ben due donne: la sessuologa Chiara Simonella della Sapienza e la dott.ssa radioterapista Maria A. Gambacorta, chiamata a illustrare come si svolgano le visite in videoconferenza attivate durante la pandemia.

I grafici a torta restituiscono un’idea abbastanza chiara del quadro emerso. Il 10,68% dei nomi femminili sulle citazioni totali, vede una prevalenza di visibilità per le donne impegnate in politica e nell’amministrazione pubblica (56%); un triste primato negativo proprio nel campo di maggiore interesse nel momento del lockdown, quello emergenziale (zero donne); e una discreta presenza in ambito sanitario (16%). L’89,32% delle citazioni di uomini, invece, vede un peso considerevole del settore politico-amministrativo (quasi 50%); un’altra grande fetta riservata al settore sanitario; e più del 12% delle citazioni afferente al piano dell’emergenza e della protezione civile. Se consideriamo che i nomi che tornano in quest’ambito sono soltanto cinque, le considerazioni che ne derivano sono abbastanza scontate. L’impressione è che le persone fisiche da cui dipende la sicurezza e la salute degli italiani, in un così tragico momento, siano solo maschi. Le istituzioni, come molti nomi astratti, sono invece spesso al femminile. Per un approfondimento del perché questo accada, rimando gli e le interessat* alla lettura di un testo di linguistica cognitiva.

È giunto il momento di tirare le conclusioni. Le metafore adottate fanno riferimento a campi semantici stereotipicamente virili: eroismo, patriottismo, vittoria, guerra, armi, lotta, fermezza, autorità, divieto, regole, proteggere. Le conoscenze più elevate vengono mediate da uomini, che ce le rendono, per quanto si possa, comprensibili. I progetti, le idee, le soluzioni, le analisi, le ricerche e le strategie operative sono promosse e sostenute da voci e da menti (quasi) esclusivamente maschili. Gli scienziati e i medici dibattono, si confrontano, si scontrano, si dedicano anima e corpo alla causa. L’impressione è che, in tutto questo, le donne non posseggano competenze, saperi, conoscenze e abilità utili al bene comune. Che il loro ruolo in società non sia importante, riconoscibile e riconosciuto. Che siano invisibili.

N.d.A. L’uso degli asterischi in sostituzione delle desinenze indica la volontà, da parte dell’autrice, di indicare la doppia terminazione maschile e femminile per le parole a cui sono apposti (es: ascoltat* sta per ascoltatori (e) ascoltatrici), in attesa che si trovi un accordo su un metodo convenzionale per esprimersi in lingua italiana in forma non univoca (usando il cosiddetto maschile universale o neutro). Ai fini di una ottimale leggibilità del testo, quest’uso è limitato alle parole piene.

N.d.A.bis: L’intento della seguente analisi non è quello di mettere in discussione la professionalità e la competenza di operat* sanitar*, medic*, scienziat*, politic*, commissar* e professionist* che hanno lavorato con abnegazione nei lunghi e difficili mesi di emergenza, rischiando la propria salute e serenità per il bene comune. L’unico obiettivo era ed è limitato all’urgenza, ormai indifferibile, di portare a galla fenomeni sociali emergenti o riemergenti in un’ottica femminista, transfemminista e intersezionale, in linea con l’impegno e la missione dell’Osservatorio di Genere della Casa delle Donne di Parma. Di contro, adottare una prospettiva implica necessariamente un’assunzione di responsabilità e una distorsione di visuale.